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01-06-2005, 13.25.52 | #1 |
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Silverstone: inno allo sport
Nel GP d’Europa la Ducati ha coronato un fortissimo impegno con due importanti e meritati successi; Corser, pur avendo ormai il titolo in tasca, ha lottato fino alla fine e con tutte le sue forze per vincere. Grandi anche Walker, Haga e il nostro indomabile Chili di Luigi Rivola Silverstone – Purtroppo, o per fortuna, la copertura televisiva della Superbike non è tale da mostrare a tutti i contenuti agonistici unici delle sue gare. Ieri, nel GP d’Europa, questi contenuti sono emersi prepotentemente davanti alle migliaia – 70.000 in tre giorni è il totale comunicato degli organizzatori – di spettatori, arrivati tutti, o quasi, rigorosamente in moto nonostante la giornata fredda e molto ventosa. Silverstone ha raccontato loro una storia di sport, di umanità e di passione che ha avuto come principali protagonisti la Ducati, i suoi piloti Regis Laconi e James Toseland, e il leader del campionato: l’australiano Troy Corser. La Ducati non sta vivendo i suoi giorni migliori, è risaputo. È in atto una parziale ristrutturazione manageriale dell’azienda, le cose nella MotoGP non vanno come ci si augurava e nella Superbike si è passati dalle vittorie in serie, scontate, degli anni passati, alle sconfitte regolari di quest’anno. L’atmosfera nel box Ducati era – inutile negarlo – se non pesante, almeno permeata di delusione, specie dopo la mancata vittoria di Laconi a Monza. È quasi incredibile constatare come un team comunque vincente, per capacità, esperienza e risorse disponibili, possa passare dall’eccessiva pienezza di sé alla più nera frustrazione quando va in carenza di vittorie. Però bisogna dare atto alla Ducati di non essersi mai arresa e soprattutto di aver continuato a lavorare, lavorare bene, per ritrovarla questa benedetta vittoria! La prima manche di Silverstone era iniziata male per la Ducati: Walker faceva da tappo, ma guidava come un ossesso, per cui di passare quella Kawasaki sembrava non ci fosse verso. E intanto Corser e Haga se ne andavano. Poi Laconi, che non è uno che si rassegni così facilmente, ha trovato il buco, forse se l’è inventato, ed è riuscito a passare Walker trascinando con l’esempio anche Toseland. A quel punto il francese ce l’ha messa davvero tutta, come sa fare, e senza esagerare, come gli capita. La sua rincorsa ha coinvolto il pubblico ed ha stremato gli uomini della Ducati che seguivano quella rimonta con l’occhio puntato sul televisore nel box. In quel momento la 999F05 non aveva in sella solo Laconi, ma tutto il box della Ducati, e forse anche i mattoni dello stabilimento di Borgo Panigale. È andata come è andata, come doveva andare: Laconi non ha commesso alcun errore, non ha ceduto alla fatica di una pista massacrante perché corta, troppo corta, piena di staccate violente seguite da accelerazioni senza respiro, ed alla fine ha vinto e ha pianto di gioia e di commozione come non dovrebbe piangere un vincente. Ma un uomo sì. E non è finita, anzi la parentesi umana in questo fatto di sport è solo iniziata col pianto di Laconi sul podio. Perché dopo, con la seconda manche si è visto nuovamente il Laconi fallace, capace di buttar via una corsa per una scivolata senza ragione: una scivolata che però ha regalato alla Ducati la seconda, forse inattesa, vittoria della giornata. Una scivolata che ha lasciato solo Toseland con la sua crisi, con la sua responsabilità, col suo titolo di campione del mondo da onorare davanti al suo pubblico. E qui James ha ritrovato di colpo tutto ciò che dall’inizio dell’anno aveva perso per strada, come mai nessuno strizzacervelli o nessun contratto sarebbe riuscito a fare: si è costretto a rincorrere Corser e Haga, a raggiungerli, si è obbligato a superarli, e dopo che ce l’ha fatta si è imposto di non sbagliare nulla fino al traguardo. E si è ritrovato primo a Silverstone e ancora campione del mondo. Per Troy Corser il GP d’Europa era l’inizio della “fase due” del suo campionato. Dopo aver accumulato vittorie su vittorie nei precedenti gran premi, e di conseguenza un punteggio tale da consentirgli di puntare verso il traguardo finale di Magny Cours con una condotta agonistica non necessariamente arrembante, se non da ragioniere, nessuno lo avrebbe criticato se, trovandosi a dover rischiare per vincere ancora, avesse accettato gradini diversi del podio. Anzi: fra le tendenze dei moderni critici dello sport, ci sono i cinici che apprezzano più un ragioniere che punta con metodo speculativo al massimo risultato col minimo sforzo, di un campione che può anche sbagliare, ma ama dare tutto se stesso in ogni frangente. Corser a Silverstone ha dimostrato di appartenere a questa seconda categoria. A quella dei campioni veri. Ha colto due secondi posti, ma solo dopo aver tentato il tutto per tutto, fino all’ultimo, per trasformarli in primi. Non so che cosa gli abbia detto Francis Battà, il suo manager, alla fine del gran premio: Battà durante le due corse era teso almeno quanto l’ingegner Ciabatti della Ducati; sapeva, l’esperto manager del Team Suzuki Alstare, che se la sorte ci mette lo zampino, anche un campionato già vinto si può perdere. E Corser stava sfidando non solo Laconi, Toseland e Haga, ma anche la sorte. Però i campioni veri sono così, ed è meglio averne uno in squadra, che lasciarlo alla concorrenza. Davide Tardozzi, team manager della Ducati, guardava sul podio il suo ex gioiello australiano con malcelata nostalgia... Haga sul podio a Silverstone c’è andato una volta sola e sul gradino più basso. Bisogna però ammettere che ieri il giapponese della Yamaha, idolo delle folle ai tempi della R7, ha avuto una sfortuna pazzesca e del tutto immeritata. Non esiste la sfortuna? E allora come chiamiamo quella dannata pompa della benzina che si è rotta a tre giri dal termine della prima manche quando Haga era a ruota dei primi due? O peggio ancora, chi ha fatto sì che un’ape decidesse di centrare il suo collo, fra i tanti disponibili in pista, quando stava lottando per la vittoria nel gran finale della seconda manche? “Era l’Haga dei tempi migliori – ammette Meregalli, manager del team Yamaha Italia – e ha fatto davvero tutto il possibile con la moto che aveva a disposizione. Purtroppo i Giapponesi sono venuti a Monza a dare un’occhiata e sono andati via senza dirci assolutamente nulla; molti pensano che siamo un team ufficiale, invece non c’è niente di più falso: siamo privatissimi ed abbiamo anche delle difficoltà a ricevere materiale del kit standard della R1. La Yamaha alla fine del 2004 ci ha semplicemente detto: se volete correre, noi non ci opponiamo, ma fate voi. Solo che così siamo da soli contro la Ducati, la Suzuki e la Honda che invece sono fortemente supportate”. La delusione di Meregalli è comprensibile, ma non durerà. A Silverstone il Team PSG-1 ha ospitato tre alti personaggi del reparto corse Kawasaki, compreso un tecnico di spicco del team Kawasaki MotoGP. Coi manager del Team di Pierguido Pagani i Giapponesi hanno avuto una lunga riunione nell’hospitality; che cosa si sono detti? Non si sa, ma l’esperienza insegna che per rompere accordi si usano le lettere, mentre per stringerne di importanti ci vuole la presenza personale. E magari anche un viaggio dal lontano Giappone. Suzuki, Ducati e Honda hanno già vinto gran premi di questo rinato campionato del mondo Superbike; tutto fa pensare che anche la Kawasaki si stia impegnando per vincerne a sua volta. Quando all’appello mancherà solo la Yamaha, i problemi di Meregalli saranno risolti. O forse anche prima. L’ultimo paragrafo lo dedico a Pierfrancesco Chili, il decano dei piloti, l’indomabile. Il fisico è a postissimo, ma l’età c’è e non c’è niente che possa cancellarla. Ma lui la ignora, la combatte come combatte gli avversari in pista: con la grinta, col suo grande talento, con la sua voglia di vincere. Non ce l’ha quest’anno – o non ancora – la moto per vincere, ma anche a Silverstone ha entusiasmato i tantissimi inglesi che tifano per Frankie. E noi con loro.
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01-06-2005, 13.46.24 | #2 |
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Solo per dire che domenica, su quelle moto rosse, oltre a tutto il box Ducati, oltre ai mattoni dello stabilimento, c'eravamo anche noi ducatisti, incollati al televisore a urlare e soffrire come degli ossessi!
Questo quando si dice che certe emoziono può regalarle solo il calcio... niente di più falso. Eravamo in quattro davanti al televisore, alla fine di gara uno io piangevo come un bambino, il mio amico era sdraiato a terra, solo in pantaloncini, stremato... la mia amica fissava il televisore immobile, quasi incredula e tremava come una foglia.... perfino la ragazza del mio amico, zavorrina di professione, a cui piaciono le moto ma non ama esageratamente le corse, era in piedi e gridava "abbiamo vinto, siamo tornati, siamo tornati". Pazzi? Forse, però questo è il motivo per cui la superbike è così amata, amata perchè vicina ai tifosi, vicina a noi motociclisti, molto meno asettica del motomondiale. Io a Monza c'ero, proverò ad esserci anche a Misano e quasi sicuramente sarò ad Imola. Amo anche il motomondiale, per se devo scegliere tra il Mugello ed una delle altre gare SBK in Italia... beh... il motomondiale lo si può anche vedere in tv. Ancora una volta devo ringraziare i Flammini che ci offrono tutto questo, la Pirelli per il gran lavoro che sta facendo, la "nostra" Ducati per aver sempre creduto in questo campionato e, anche se un pò mi rode , le quattro jap, perchè pian piano stanno tornando ufficialmente. I WORLD SUPERBIKE CHAMPIONSHIP
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