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Vecchio 21-11-2006, 02.07.01   #1
Macao
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In Cina i link ai file coperti da copyright non è illegale

Le major attaccano il diritto di link, la Cina respinge. Alza moltissima polvere la decisione di un tribunale della capitale cinese di assolvere il più celebre motore di ricerca locale, Baidu, dall'accusa di pubblicare link a file illegali, un'accusa che in occidente è costata la chiusura di moltissimi siti.

Il processo è stato intentato da alcune major discografiche, spalleggiate dalla Federazione internazionale dei fonografici - IFPI, secondo cui la pubblicazione di link viola le normative sul diritto d'autore. Una tesi che i magistrati non condividono: a loro parere l'attività del popolare e controverso motore di ricerca cinese non costituisce infrazione alla legge, in quanto i file illegali risiedono su server di terzi.

Falliscono dunque nel loro intento le major, tra cui Universal, Warner, Sony BMG ed EMI, che si erano scagliate contro Baidu colpevole di aver fornito i link al download di 137 brani dei loro "protetti". Avevano chiesto a Baidu pubbliche scuse, un rimborso di quasi 170 mila euro e, soprattutto, la cessazione dell'attività. Delusa anche IFPI, rappresentante di oltre 1400 etichette discografiche in 73 paesi, che ha promesso di assistere le major nei prossimi sviluppi del processo.

Nel paese delle censure della rete, dunque, il diritto di link si impone almeno per ora, anche se si tratta di link organizzati a materiale pirata e con finalità commerciali. Oggetto del contendere infatti era l'oltraggiosa sezione mp3 di Baidu, con tanto di top 100 download: aveva scatenato il furore delle major già nell'estate dello scorso anno.

Stando alle analisi Alexa, il sottodominio mp3 di Baidu attira il 15 per cento degli utenti del motore di ricerca, garantendo al motore il 20 per cento dei suoi introiti pubblicitari. Ma Baidu, all'accusa delle major, aveva risposto che la sua sezione mp3 non si differenzia dagli altri motori di ricerca, e che il deep linking di Baidu.mp3 indirizza l'utente anche verso file musicali diffusi in piena legalità.

E mentre montava il caso, EMI era riuscita a spillare a Baidu una cifra irrisoria: 6800 euro, quasi a dimostrazione del fatto che i tribunali cinesi non avessero compreso le dinamiche della Rete o che, come aveva sommessamente borbottato qualcuno, le autorità fossero schierate apertamente a fianco del motore di ricerca. Ora, il giudizio del tribunale pechinese permette al search engine di sentenziare: "Se le major avessero vinto, l'intero settore dei motori di ricerca si sarebbe bloccato".

Da parte sua, il chairman IFPI, John Kennedy, ha dichiarato: "Sono stupito da questo inspiegabile giudizio, totalmente incoerente rispetto alla legge cinese". Parole che agli osservatori sembrano giustificate: la rivincita di Baidu appare dissonante rispetto alle leggi restrittive imposte di recente dalla Repubblica Popolare Cinese dopo le pressioni diplomatiche provenienti dagli USA, volte a esportare in Cina la rigida proprietà intellettuale made in WTO.

E la sentenza del tribunale stona anche rispetto all'avvio, a fine settembre, di tre mesi anti-internet-piracy, iniziativa che ha portato l'Ufficio nazionale della Proprietà intellettuale ad indagare oltre trecento siti.

Lo stesso Kennedy a maggio aveva evidenziato come il mercato discografico cinese, enorme per potenziale bacino di utenza e avanzatissimo per abitudini digitali, si classifichi solo al 20esimo posto nel mondo come "valore". Tutta colpa di contraffazione e pirateria su Internet, sostiene tuttora Kennedy: l'85 per cento della musica consumata in Cina è pirata, per un mercato sommerso che secondo i discografici vale 400 milioni di dollari. Se non fosse per la pirateria, ripetono ora, la Cina rappresenterebbe il mercato discografico più importante del mondo, un mercato fertile e appetibile per insediamenti e investimenti stranieri.

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Vecchio 21-11-2006, 02.09.20   #2
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Ma in Australia non si può nemmeno canticchiare per strada

Scenari a tinte fosche vengono dipinti dai sostenitori dei diritti civili in Australia, preoccupati dalla proposta sull'inasprimento delle sanzioni contro la violazione del copyright, che procede spedita verso la trasformazione in legge prevista per la metà di dicembre. Google aveva già lanciato l'allarme giorni fa, denunciando i rischi per i motori di ricerca e quindi per la stessa possibilità per gli utenti di esplorare il web alla ricerca di informazioni e frammenti di conoscenza.

Ora Slashdot segnala la presa di posizione da parte della Internet Industry Association, che in una nota rivolge un accorato appello contro la ratifica della legge, recentemente emendata e resa ancora più severa nelle conseguenze pratiche sulla vita dei cittadini: dopo un'attenta disamina del testo, servendosi di accademici ed esperti legali, la IIA non può far altro che confermare tutta una serie di possibili "scenari terrificanti" generati dall'applicazione della legge.

Peter Coroneos, CEO dell'associazione, dichiara a riguardo: "Una famiglia che decidesse di tenere un picnic di compleanno in un luogo di intrattenimento pubblico (ad esempio all'interno di uno zoo) e cantasse "Buon Compleanno" in maniera che il motivetto potesse essere udito dagli altri avventori, rischierebbe una denuncia di infrazione con una multa di 1320 dollari. Se venisse realizzato un filmino amatoriale del piccolo evento familiare, rischierebbe una ulteriore sanzione pecuniaria per il possesso di un dispositivo utilizzato a scopo di creare una copia non autorizzata di una canzone. E se la clip venisse poi immessa su Internet a disposizione di tutti, i rei rischierebbero una multa aggiuntiva di altri 1320 dollari per distribuzione illegale".

"Alla fine - chiosa Coroneos - una possibile multa cumulativa di 3960 dollari, senza la necessità di avere la consapevolezza di compiere atti impropri. La semplice sequenza di queste azioni sarà sufficiente per determinare la responsabilità giuridica e le contravvenzioni".

Coroneros si chiede quali motivazioni possano esserci per un giro di vite così restrittivo e pericoloso per le libertà personali e i diritti digitali: "Il patto di Free Trade Agreement con gli Stati Uniti non obbliga l'Australia ad andarci giù così duramente, e le leggi americane o quelle europee non contengono misure che si spingano fino a questo punto. Siamo totalmente incapaci di comprendere le reali motivazioni alla base delle nuove norme, chi c'è dietro e perchè ci sia tanta fretta di approvare la legge - con un dibattito pubblico quasi inesistente per giunta".

Degli stessi toni la press release della Australian Digital Alliance, l'associazione promotrice di una legge sul copyright bilanciata tra i diritti dei consumatori e le necessità dell'industria. "Con il Copyright Amendment Bill 2006 (com'è formalmente conosciuta la proposta, ndr) che si sta facendo velocemente strada in Parlamento, gli australiani saranno presto i detentori non-tanto-orgogliosi di un regime di copyright complesso ed inflessibile, antiquato dal momento stesso in cui diverrà legge. Al di là di quelle che sembrano buone intenzioni, il governo ha dato il via ad un pasticcio di modifiche di 200 pagine, senza la duttilità ad esempio possibile grazie alla dottrina del "fair use" su cui fanno affidamento i consumatori e gli innovatori americani".

Non sono insensibili alle pesanti modifiche del copyright la blogosfera e i commentatori australiani: Brian Fitzgerald ha discusso molti aspetti della nuova legge, così come il blog Weatherall's Law, e gli allarmi lanciati dagli esperti sugli effetti reali della nuova normativa sull'attività di Google, che sarebbe "imbavagliato" nella sua attività di searching e di indicizzazione dei link web.

Molti di questi commenti appaiono in contraddizione con quanto dichiarato recentemente dal responsabile dell'Avvocatura generale del paese, Philip Ruddock, che ha sostenuto, secondo quanto riporta The Age, che i nuovi emendamenti alla proposta di legge "renderanno le leggi australiane più eque per i consumatori e più rigide per i pirati del copyright".

Sia come sia, si prevedono tempi duri per il social networking e la condivisione dei contenuti in rete australiani. IFPI è stata molto chiara a riguardo: l'associazione internazionale delle etichette musicali si è impegnata a tutto campo in attività lobbistiche sugli Internet Service Provider e sulla classe politica affinché la lotta alla pirateria divenga endemica, e senza sconti per nessuno.

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Vecchio 21-11-2006, 02.13.24   #3
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IFPI è stata molto chiara a riguardo: l'associazione internazionale delle etichette musicali =>> si è impegnata a tutto campo in attività lobbistiche sugli Internet Service Provider e sulla classe politica <<= affinché la lotta alla pirateria divenga endemica, e senza sconti per nessuno.
credo che queste righe spieghino con chi abbiamo a che fare
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Vecchio 21-11-2006, 08.12.38   #4
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sì, ma finché ci saranno giganti come la Cina a metterglielo in quel posto..
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