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#16 |
Gold Member
Registrato: 14-06-2001
Loc.: LC
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lo so anche io che va cosi', che nn ci possiamo fare molto. era semplicemente uno spunto per una riflessione, per nn perdere di vista qllo che realmente siamo, a dispetto di qllo che ci vogliono far credere e apparire... visto che e' piaciuto ![]() ****************** QUALCOSA di Andrea Verdiani ****************** Accendo la televisione e scopro che telegiornali, dibattiti, approfondimenti, veline, quiz e chissà che altro non mi dicono qualcosa. Apro il giornale e mi accorgo che notizie, articoli di fondo, interviste, titoli non mi parlano di qualcosa. Per cui mi bevo un succo d¹arancia, mi accendo una sigaretta e scendo in strada a passeggiare. Perché a volte passeggiare mi aiuta a pensare. E in questo momento ho bisogno di pensare a quello che mi stanno nascondendo. Passeggiando mi accorgo che questo passaggio di scooter colorati e dalle forme improponibili, questo rumore di quattro tempi cupo cupo o di due tempi che paiono tanti frullatori in azione, mi disturba. E avrei voglia di sentire il motore di un PX, vedere le scocche in ferro di un Primavera o di un TS, annusare l¹inconfondibile odore di un GTR che brucia troppo olio. Passeggiando mi viene fame, per cui entro in un panificio e rimango frastornato: pane di segale, pane integrale, ciabatte di grano duro, rubattini alla polenta, pane arabo, pane con semi di sesamo, treccia al latte, pan carrè, grissini al rosmarino, al peperoncino, alla cipolla, alla salvia. "Signore, scusi, desidera...?" "Sì, ecco, volevo solo due biove..." Sconcerto. La commessa è giovane, pure carina, ma sconcertata. Il suo sguardo cerca lo sguardo della titolare che è alla cassa, ma la titolare è impegnata al telefono. Per cui prende la situazione in mano e cerca. Sembra che debba scegliere una videocassetta. Poi, decisa, prende due papere e le infila veloce nel sacchetto di carta. "Scusi, ma quelle sono papere" avanzo. Momento di disagio. Rossore. "Comunque va bene lo stesso" aggiungo. Sollievo nel volto della commessa. Uscendo mi chiedo se mai avrà visto una biova in vita sua, quella ragazza. In rosticceria, almeno, se chiedo la mortadella sanno cosa darmi: mi faccio il panino e mangio. Passeggiando raggiungo il campo a sette della parrocchia dove sono cresciuto, tra polvere, buche, calzoncini corti e palloni duri da farsi male solo a guardarli. Rimango stupito. Una simile perfezione non l¹avevo mai vista: erba sintetica bassa bassa, illuminazione che sembra giorno, reti immacolate e strisce perfette. Penso che su quel campo un pallone lo stopperebbe anche mia nonna, buonanima. E i ragazzini che stanno giocando, che dire di loro: movenze indotte da scuola calcio, pettorine tutte uguali, parastinchi. E, soprattutto, almeno venti palloni: venti palloni che se qualcuno tira e il pallone scavalca la rete si continua a giocare lo stesso, invece di sospendere e andare fin giù nel corso a guardare sotto le macchine o nei giardini. Intanto sono le sette di sera e a Febbraio alle sette di sera la tramontana è pungente. Per cui decido di rientrare a casa. Arrivato al portone, mi accorgo di avere dimenticato le chiavi in ingresso. Non c¹è problema, Francesca sarà sicuramente già rientrata dalla riunione. Faccio per suonare e mi blocco: davanti non ho un semplice citofono, ma un complicatissimo citofono nuovo nuovo, che io, avendo sempre aperto con le chiavi, non ho mai utilizzato prima. Ora però devo capire come funziona e mi sento come mio padre la prima volta che ha dovuto usare il registratore di cassa sul banco del mercato: un bambino in preda ad un¹equazione di cui non vede il risultato finale, perché non sa nemmeno da dove incominciare. Allora: comporre il numero a quattro cifre corrispondente al cognome desiderato e poi premere il pulsante campanello entro 10 secondi. Oppure usare i pulsanti con le frecce per cercare il cognome desiderato e premere il pulsante campanello. Dunque: il primo problema è individuare in quale colonna del citofono stia il mio cognome e, in un complesso di quaranta appartamenti, comunque, non è impresa facile. Individuato. Ecco: numero 3336. Dunque: tre _ tre - tre - sei e adesso dove cazzo è il simbolo campanello che c¹ho solo 10 secondi e poi mi si annulla tutto, qua non c¹è, forse è in fondo, eccolo, è lui, ora lo schiaccio e tutto è finito e maledizione a me se mi dimentico ancora le chiavi in ingresso. Schiacciato. Nei quindici secondi che passano tra la pressione sul pulsante campanello e il momento in cui la voce di Francesca chiede "chi è?" il silenzio è assoluto, i dubbi sono invadenti: avrò seguito la giusta procedura? Come mai quando ho schiacciato il pulsante campanello non ho sentito il suono? Il fatto di non aver sentito il suono vorrà forse dire che in realtà non ho suonato? Dovrò rifare tutta l¹operazione? O forse, semplicemente, il citofono ha suonato ma in casa non c¹è ancora nessuno, Francesca deve ancora rientrare dalla riunione? Insomma: quindici secondi di baratro, mai passati così lentamente. Poi, eccola, la voce mai tanto desiderata di Francesca. "Sono io, ho dimenticato le chiavi, mi apri?". Apre. Finalmente dentro. Entro a casa e bacio Francesca come un profugo salvato dal mare in tempesta. Francesca prima mi tranquillizza, poi mi dice che ha affittato Minority Report di Spielberg in DVD. "Bene" le dico "mangiamo due spaghetti aglio olio e peperoncino e poi ce lo guardiamo". "Ma no, dai, ordiniamo due pizze dal Pizza Point e ce le mangiamo guardando il film". "Va bene", accetto con una punta di rassegnazione. L¹inizio del film è interessante, con quegli strani colori, quelle immagini in sequenza e quella tecnologia futurista, anche se per almeno venti minuti di film non ci capisco niente e sto a guardare con lo stesso approccio con cui da bambino guardavo le figure colorate delle storie di Paperino quando ancora non sapevo leggere i fumetti. Suonano alla porta: è il garzone del Pizza Point con le pizze che avevamo ordinato mezz¹ora prima. Mi chiedo come abbia fatto quel garzone a superare l¹ostacolo portone-citofono, mi rispondo che di sicuro avrà incrociato qualcuno che usciva. E lo invidio profondamente per quel suo colpo di fortuna. "Grazie, quanto devo?" "Sono ventitre euro". "Ecco venticinque euro, tenga pure il resto". Vado in salotto con le pizze e dico a Francesca se non le sembrano troppi ventitre euro per una pizza alle melanzane e una prosciutto e funghi. Mi fa un cenno con la mano come per dirmi di tacere che nel film è in corso un'importante conversazione tra il protagonista e un uomo senza occhi. Non insisto oltre e mangio. La pizza è quasi fredda e a ogni boccone che mastico e ingoio penso a quanti alka seltzer dovrò prendere per digerirlo. Il film è avvincente, anche se ogni dieci minuti devo chiedere spiegazione a Francesca del perché stia succedendo quel che sta succedendo.
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#17 |
Gold Member
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Poi, all¹improvviso, l¹inconveniente: l¹immagine, dopo essersi frammentata, si blocca. Francesca mi dice che sarà da pulire il DVD. Lo faccio, con cura. Poi lo reinserisco: menu principale, selezione lingua, italiano dolby 5, sottotitoli off, selezione scene. Mai avrei pensato che un film avesse così tante scene. Seleziono le scene una a una fino a che Francesca mi dice ecco è quella. Play. E¹ la scena più lunga del film e dovremmo rivederci quindici minuti di film per arrivare al punto in cui il DVD si è bloccato. "Vai avanti", mi dice Francesca. Premo il pulsante con le due freccette sulla destra e poi lo premo ancora e la situazione si fa incontrollabile: il film va avanti in modo selvaggio che non so più come fermarlo e Francesca che mi dice che fai dovevi fermarlo prima, queste scene che passano non le abbiamo ancora viste e io penso ha un bel dire, questa, come cazzo si ferma 'sta locomotiva, ho solo schiacciato qualche volta il pulsante con le due frecce sulla destra, e non credevo così tante. Rimango in uno stato di totale impotenza, tanto che Francesca se ne accorge, mi strappa il telecomando di mano e prende lei il controllo della situazione. Finalmente, dopo dieci minuti, il film riprende più o meno da dove l¹avevamo lasciato. Il film è finito, il cattivo si è ammazzato, il buono ricomincia la sua vita, i tre gemelli invece di essere rinchiusi dentro una vasca con gli elettrodi in testa ora sono restituiti ad una vita normale, loro tre soli, in un cottage completamente isolato in mezzo a una campagna dimenticata da dio, che d¹inverno ci vorrà almeno un gatto delle nevi per muoversi e scendere nel paese più vicino a prendere il latte. Ma comunque, il film ci dice, loro ora sono felici. Bene: contenti loro, contenti tutti. Mentre andiamo a letto, come un fulmine a ciel sereno, arriva la domanda-affermazione di Francesca che temo di più: "domani è Sabato, che ne dici di andare all¹ipercoop a fare la spesa, che intanto compro qualcosa anche al centro commerciale?" Colpito profondamente, in uno stato di amorevole rassegnazione, scelgo l¹arma del silenzio-assenso. E già mi viene l¹agitazione. L¹agitazione per quello che mi spetterà l¹indomani: quel fare la coda per entrare nel parcheggio, quel vagare confuso tra scaffali e scaffali, dove se cerchi il sale da cucina è sempre dove meno te l¹aspetti e se chiedi al commesso dov¹è questo ti indica una zona indefinita tra lo scatolame e l¹abbigliamento donna, praticamente trecentocinquanta metri quadri da setacciare con le vecchiette che ti scontrano il carrello e i bambini che ti sbucano all¹improvviso all¹incrocio tra il settore pasta e il settore prodotti per l¹igiene della casa, che ti conviene fare un¹assicurazione quando vieni in questi posti maledetti. L¹agitazione per la scelta di quanti sacchetti mettere sul rullo della cassa per poi sistemarci la roba comperata, che se ne prendi qualcuno di meno e la cassiera ha già chiuso il tuo conto devi aspettare almeno venti minuti prima che chiuda il conto di una famiglia di cinque persone con due figli obesi e una nonna che passa tutta la sua giornata in cucina. L¹agitazione per la ricerca del 2° livello sezione 5 (o era 8?, speriamo di ricordare bene) del garage dove hai posteggiato la macchina che ti sembra di cadere in un incubo tipo Fuga da New York e che ti chiedi se mai riuscirai ad uscirne, che quasi ti viene voglia di pregare dopo avere bestemmiato come un animale in preda a tutto quello che hai sopportato in quel sabato mattina al centro commerciale con l¹odore di fritto e di cibo precotto e i neon e le insegne colorate e gli annunci all¹altoparlante, mentre fuori c¹era un sole che si poteva andare a fare due passi sul lungomare e fermarsi a prendere un Carpano seduti ai tavolini all¹aperto che se anche è Febbraio la tramontana ha smesso e la temperatura è quasi primaverile, che rimpiangi quando tua madre ti mandava a prendere le fettine di carne dal macellaio e poi te le impanava e le mangiavi belle fresche appena tagliate o quando tua nonna ti mandava dal consorzio sotto casa a prendere quattro rotoli di carta igienica che ti duravano quello che ti duravano e poi scendevi di nuovo a comperarla quando te ne serviva dell¹altra, senza dover fare un piano di immagazzinaggio scorte, con due pacchi da venti rotoli di carta igienica, 3 pacchi da 4 rotoli di scottex e tre ricambi per ogni prodotto (per la pulizia del bagno, della cucina, per sciogliere le macchie, per lavare a quaranta gradi, per i capi resistenti, per quelli colorati, per ammorbidire, per lavare i vetri e poi shampoo, doccia schiuma, balsamo, dentifricio, spazzolino, glassex, ammoniaca, amuchina, alcool, ecc.), tutti da stipare in una dispensa dove per cercare qualcosa devi avere doti da contorsionista, tanta roba c¹è. Mi viene l¹agitazione, dicevo, per quella prova durissima a cui Francesca mi sottoporrà l¹indomani, in quegli spazi così freddi, grassi, anonimi e dispersivi. Siccome non riesco ad addormentarmi, mi alzo dal letto. "Cos¹hai?" mi chiede Francesca ormai mezza addormentata. "Niente, continua a dormire", le dico. Vado in salotto. Accendo la televisione e scopro nuovamente che telegiornali, dibattiti, approfondimenti, veline, quiz e chissà che altro non mi dicono qualcosa. Apro il giornale e mi accorgo che notizie, articoli di fondo, interviste, titoli non mi parlano di qualcosa. Mi accendo una sigaretta ma è troppo tardi per scendere in strada a passeggiare. Perché spesso passeggiare mi aiuta a pensare. E in questo momento ho bisogno di riflettere su cosa mi stanno nascondendo. Siccome non posso uscire, spengo la televisione, chiudo il giornale e ascolto in cuffia l¹adagietto della quinta di Mahler. E¹ una musica che sembra arrivare da un posto lontano, ma che in realtà ti arriva da dentro e dentro ti ritorna. Una musica che sembra portare profumi e atteggiamenti lontani, ma che in realtà hai sempre avuto con te. Una musica che sembra riportarti sensazioni che credevi perdute, ma che in realtà non ti hanno mai lasciato. Una musica che ti fa sorridere, tirando l¹ennesima boccata di fumo. Una musica che lentamente ti spiega che non hai bisogno di pensare, ma che hai bisogno di sentire. Una musica che ti fa riprovare qualcosa che nemmeno ricordavi di avere provato tanto tempo prima. Una musica che non ti nasconde più niente, mentre ti vedi accendere il PX e sentire il profumo dell¹olio bruciato, andare a comprare due biove dal panificio con la commessa che sa cosa darti, le fettine dal macellaio, la carta igienica dal consorzio, scambiando due chiacchiere con tutti senza l¹odore di fritto e di cibo precotto, senza i neon e le insegne colorate e gli annunci all¹altoparlante. Una musica che ti dice quello che non ti dicono tutti quei telegiornali dibattiti approfondimenti veline quiz notizie articoli di fondo interviste titoli. Una musica che è solo tua, che è sempre stata tua, che hai respirato e che ti ha fatto respirare, che respiri e che ti fa respirare. Una musica che, adesso ne sei certo, niente e nessuno, in questi giorni così freddi grassi anonimi e dispersivi, potrà mai nascondere e cambiare.
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#18 |
Guest
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mi sembra parecchio apocrifo questo messaggio
![]() Nell'era della comunicazione globale uno studentello represso di scienze politiche a Bologna scrive un testo credendo di aver scritto la bibbia dei tempi moderni, la spara in giro firmandosi Paolo Rossi (e chissà forse si chiama davvero così) e crede di aver reso migliore il mondo. Bah! ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() ![]() |
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#19 | |
Guest
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![]() (mi riferisco ovviamente a Verdiani, non a te, Gergio ![]() E' solo una questione di scelte. Dove vivo io ci sono solo montagne, poche case vecchie, tante gente onesta e aperta, un fiume che scorre tranquillo, i boschi e l'aria pulita. Niente pani strani, niente erba sintetica, niente citofoni, neanche vecchi, niente pizza point, niente ipercoop. E' solo una questione di scelta. Alla fine quanti sono disposti veramente a rinunciare a tutti i vantaggi della città, per tornare al modello di vita "biove e carta igienica del consorzio"? Capisco la malinconia, ma se il mondo moderno è davvero tutta 'sta sofferenza, basta fare le valigie e trasferirsi altrove. Gli spazi ci sono ancora, e sono tanti. Bisogna però anche avere il coraggio di rinunciare a tante piccole sicurezze. |
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#20 | |
Junior Member
Registrato: 21-09-2004
Loc.: La parte soleggiata della terra
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Scelta cmq difficile in ogni caso ![]() |
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#21 | |
Junior Member
Registrato: 21-09-2004
Loc.: La parte soleggiata della terra
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#22 | |
Guest
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Nel primo caso erano sketch scritti da Paolo Rossi in parte e da quel gruppo di autori milanesi che gravitano intorno a Gino & Michele, ed è uno stile riconoscibilissimo che più riconoscibile non si può. Nel secondo caso sono spettacoli scritti principalmente da Paolo Rossi stesso, con la collaborazione di Stefano Benni, Riccardo Piferi e Carlo Gabardini. Sono meno riconoscibili nello stile, ma comunque come caratteristica hanno il calembour gioioso, l'interazione col pubblico e una tendenza palese alla divagazione onirico-paradossale. Sono comunque testi leggeri, e che se criticano qualcosa o qualcuno procedono per analogia e per allusione, non certo con "attacchi frontali". Quindi nel testo riportato in questo thread non ci riconosco neanche lontanamente lo stile di Paolo Rossi. Sembra appunto più Beppe Grillo, ma un Beppe Grillo dei poveri... ![]() Però magari mi sbaglio, e dopo l'ultima incazzatura con la Rai magari Paolo Rossi si è rabbuiato e intristito. Chi lo sa... |
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#25 |
Guest
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Il mondo della comunicazione globale è anche il mondo in cui un ragazzino di 15 anni diventa contemporaneamente un'icona mondiale e un paziente psichiatrico.
![]() http://www.wired.com/news/culture/0,1284,59757,00.html Probabilmente genitori e avvocati stanno esagerando la cosa pe rtrarne il massimo profitto. Ma certo la posizione di chi è, al tempo stesso, famoso mondialmente e mondialmente deriso, per colpa di uno scherzo, non deve essere affatto facile. |
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