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Vecchio 13-03-2007, 17.01.21   #1
Macao
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I filtri stritolano il P2P Italiano, ma non solo

Molti, moltissimi sono gli utenti che segnalano a Punto Informatico - ma se ne parla anche su Usenet e sui blog ormai da tempo - quella che ritengono una situazione intollerabile, secondo cui i propri provider filtrerebbero eMule e più in generale le applicazioni P2P, rendendo sempre più difficile il loro utilizzo.

L'accusa è vecchia, di nuovo c'è il numero delle segnalazioni e la sensazione, che emerge tra le righe, che vi sia una sorta di guerra non dichiarata a quei protocolli di sharing che succhiano una enorme quantità di banda, banda che i fornitori di servizi Internet sempre più vorrebbero poter utilizzare per servizi a valore aggiunto, dal VoIP alla IPTV passando per la NetTV. E non si parla solo di prioritizzazione dei pacchetti, ma anche di veri e propri filtri, e qualcuno si spinge persino a parlare di censura.

L'accusa, come accennato, è vecchia. Interrogata a questo proposito da Punto Informatico nel novembre del 2005, Wind (fornitore del servizio Libero ADSL) a suo tempo spiegava di aver attivato "un engine" che, in caso di traffico elevato, dava priorità a Web, posta e VoIP. Questo meccanismo entra in gioco per brevi periodi di tempo, e si limita a dare priorità ai servizi "più preziosi per l'utenza domestica" senza bloccare del tutto il file sharing. Già allora però erano tanti gli utenti che su forum e newsgroup sostenevano che il P2P era praticamente bloccato per gran parte della giornata. Da qui si è arrivati l'anno scorso ad una seconda ondata di proteste contro Libero, che ha spinto Wind a dettagliare meglio il sistema in questa nota, relativa alla propria politica di quality of service (QoS).

Da allora le rimostranze degli utenti non sono mai cessate, interessando non soltanto Wind, ma praticamente tutti i provider nazionali, inclusi Tele2, Telecom Italia (la cui offerta consumer, come noto, è Alice ADSL), Tiscali o, più sporadicamente, MC-link e Fastweb. Solo negli ultimi mesi sono decine e decine le missive di protesta giunte in redazione, e a queste si aggiungono le testimonianze pubblicate quotidianamente su forum, gruppi di discussione e blog. Qualcuno sta tentando di stilare una lista degli utenti che sperimentano problemi con eMule imputabili ai filtri P2P, altri si appellano agli sviluppatori di eMule affinché implementino sistemi più efficaci dell'offuscamento per bypassare i controlli dei provider. Modi, insomma, per impedire ai provider di bloccare con facilità i pacchetti P2P.

"In rete di ipotetici blocchi, filtraggi, rallentamenti, limitazioni e decadimento della velocità delle reti P2P usando presunti nuovi software in dotazione ai vari ISP, o legati a poco credibili malware o attacchi DoS, se ne parla dal 2005, ma avendo provato personalmente il problema (su linea Alice 2 Mbit), effettuando test di ogni genere con Emule, BiTorrent ed altri software P2P, con varie configurazioni software e hardware, settaggi e tutto il possibile e provabile, effettivamente il dubbio, o la quasi certezza che qualcosa stia avvenendo, ti assale", scrive "zangtumtum" in una delle tante email giunte in redazione. "Notte insonne dopo notte insonne, i dubbi si fanno granitiche certezze, e la banda degrada fino a bloccarsi".

Federico, utente di Libero ADSL, sostiene che "quando un programma P2P (Emule, Direct Connect++, Bitorrent...) è in funzione la linea ADSL risulta inutilizzabile e il programma stesso viene paralizzato". "Queste limitazioni - prosegue Federico - vanno contro il libero uso che una persona fa della propria ADSL, e non per ultimo risulta infranto anche il diritto alla privacy, visto che analizzare il flusso dati di un cliente per capire quale programma è in esecuzione e di conseguenza rallentarlo è come spiare nella posta del vicino di casa".

Wind è stato il primo provider a confermare l'uso di un engine di rete capace di filtrare selettivamente il traffico P2P, ma dell'esistenza di sistemi di questo tipo i lettori di PI già sapevano da tempo: i maggiori fornitori di apparati di networking dispongono già da anni di funzionalità avanzate di traffic shaping e le propongono ai propri clienti, tra cui anche i maggiori provider. In alcuni documenti, come questo, tali grandi fornitori spiegano come consentire ai provider di "identificare e classificare tutto il traffico P2P in modo che possa essere accuratamente stimato e controllato" e "identificare quegli abbonati che stanno consumando un illimitato ammontare di banda". Abbonati talvolta identificati come "abusive users", gente insomma che esagera (?) nell'uso della risorsa-banda.

E l'occhio di questi sistemi può arrivare molto in profondità, rendendo poco utili il protocollo di offuscamento di eMule o le connessioni cifrate di certi client BitTorrent: tecniche come la Stateful Deep Packet Inspection di fornitori come Cisco, unite a sofisticati meccanismi di analisi statistica, sono in grado di fiutare il traffico P2P meglio di quanto un segugio possa fare con la cacciagione. E se i filtri di alcuni provider possono essere bypassati semplicemente cambiando porta o attivando il protocollo offuscato, è solo perché il provider non vuole o non sa sfruttare a fondo le caratteristiche dei moderni software di controllo del traffico.

Appare ormai evidente come, in epoca di televisione online e di servizi a valore aggiunto dalle forti richieste di banda, queste tecnologie siano impiegate da pressoché tutti i provider, specie quelli più grandi. Il problema è che tali meccanismi di monitoraggio e controllo possono essere utilizzati per fare un sacco di cose, ed i provider sono in genere restii a fornire dettagli in merito. Un ISP può infatti usarli per filtrare tutto il traffico P2P o solo una sua parte, andando ad agire selettivamente su tipo di applicazione, traffico in upstream (dall'utente verso il provider) o in downstream (dal provider verso l'utente), porte TCP/IP, tipo di pacchetto, numero di connessioni, account utente, indirizzo di destinazione, orario ecc. Gli interventi possono inoltre essere più o meno pesanti, e andare da una lieve diminuzione nella priorità dei pacchetti P2P al blocco totale degli stessi.

Se a ciò si aggiungono le lentezze e le congestioni croniche di cui sembrano soffrire molte ADSL italiane (indipendentemente dall'applicazione utilizzata), l'eventuale utilizzo da parte dei provider di differenti tipi di shaping del traffico a seconda del nodo di rete, il cattivo funzionamento di certi apparati di networking (lato utente o lato provider), e le configurazioni non ottimali utilizzate da certi utenti del file sharing, si può ben capire quanto sia difficile sapere chi viene filtrato e quanto viene filtrato, chi filtra e quanto filtra. L'unica certezza, come si è detto, è che tutti i provider adottano politiche di QoS: quanto esse siano aggressive nei confronti del P2P ai consumatori però non viene detto.

In questi giorni PI sta contattando i principali ISP nazionali proprio per approfondire l'argomento. I primi feedback sono interessanti: Fastweb e Telecom Italia hanno già sottolineato di non aver applicato alcun genere di filtro al P2P.
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Vecchio 13-03-2007, 17.03.18   #2
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Al Congresso degli Stati Uniti le Università non sono d'accordo

Lobby al lavoro al Congresso degli Stati Uniti, dove giovedì scorso la Sottocommissione Giustizia per la Proprietà Intellettuale e Internet ha ascoltato la descrizione di un nuovo tipo di soluzione software per il filtraggio del traffico P2P sulle reti. Sviluppata presso l'Università della Florida con il nome di ICARUS ed in seguito acquisita da Red Lambda, cGRID::Integrity è stata definita la più avanzata tecnologia per la prevenzione del P2P e della condivisione dei file.

Mediante algoritmi proprietari, cGRID::Integrity sarebbe in grado di analizzare i pacchetti in transito su una LAN ed individuare attività illegali legate al trasferimento di file protetti da copyright sulle reti peer-to-peer o sul fronte dell'instant messaging. I suoi sviluppatori si spingono a sostenere che lo sniffatore elettronico di abusi in rete sarebbe in grado di colpire anche gli utenti di darknet locali, reti cifrate e sfuggenti per loro natura.

Secondo gli sviluppatori, cGRID non analizza il contenuto dei dati trasmessi quanto invece il comportamento dei protocolli impiegati: se ravvisa una violazione è in grado di inibire istantaneamente il collegamento alla rete del trasgressore, segnalandolo all'ufficio competente.

Fantascienza? cGRID::Integrity sarebbe stato sperimentato con successo presso l'Università della Florida, come riportato dal presidente di Red Lambda Greg Marchwinski nella sua testimonianza presso la Sottocommissione. Secondo i dati forniti, tra gli studenti sorpresi a commettere presunti atti illegali soltanto il 10% sarebbe incappato una seconda volta in una sospensione dalla rete e nel successivo nuovo richiamo; di questi ultimi, meno del 10% sarebbe incorso in una terza infrazione. Secondo Marchwinski, cGRID è uno strumento economico e adatto a porre fine una volta per tutte al problema della pirateria nelle reti universitarie.

cGRID piace molto ai discografici di RIAA, come conferma l'intervento del suo presidente Cary Sherman: rispetta la privacy (?) ed è efficace contro tutte le forme di condivisione illegale, lasciando spazio inoltre per un minimo di tolleranza per chi incappi una volta soltanto in questo tipo di reato, ma agendo senza dover ricorrere alle lente e onerose vie legali. Da anni RIAA rimprovera alle università di fare troppo poco per educare i propri studenti al rispetto della legalità in questo campo e le invita ad aumentare gli sforzi in questo senso. Secondo Sherman, RIAA e università dovrebbero avere entrambe a cuore la protezione della proprietà intellettuale, poiché ambedue basano i loro profitti su questo concetto.

Chi non è affatto convinto della bontà di cGRID sono proprio le università. Nella sua relazione in aula davanti alla Sottocommissione, il vicepresidente esecutivo dell'Associazione delle Università Americane John Vaughn, ha ricordato gli sforzi compiuti dal mondo accademico a partire dal 2002 per combattere i fenomeni di pirateria su reti P2P e sottolineato come gli strumenti proposti per il controllo fossero già stati ritenuti inadatti in occasione di un meeting a cui avevano partecipato sia le università che i rappresentati dell'industria dell'intrattenimento lo scorso ottobre. Vaughn punta inoltre il dito sui costi di questa tecnologia valutati in un investimento iniziale di un milione di dollari, più 250.000 l'anno di spese di manutenzione: un onere ritenuto eccessivo, soprattutto alla luce delle iniziative per ridurre l'impegno economico da sostenere per frequentare le università.

Ciò che preoccupa maggiormente il mondo accademico è il rischio che politiche troppo aggressive nei confronti del P2P possano limitare la libera espressione e la creatività, che da sempre è ritenuta carburante fondamentale del progresso tecnologico degli Stati Uniti. E si ricorda come esistano molti utilizzi legali per il P2P, uno fra tutti il noto programma Visible Earth di NASA che sfrutta il protocollo BitTorrent per trasmettere immagini e animazioni. Non convincono infine le alternative proposte da RIAA per invogliare il download legale di musica: si tratta di tecnologie giudicate incapaci di soddisfare la domanda poiché incompatibili con i riproduttori portatili più diffusi.

Mentre anche in Italia si moltiplicano i meccanismi di filtro per scoraggiare l'uso di alcuni software, restano in sospeso le questioni legate alla effettiva efficacia di cGRID: non è certo la prima volta che un software viene indicato come la cura per il P2P.

Fonte
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