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Vecchio 09-07-2003, 13.58.47   #1
simoner
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Audio di Jack Folla

Sto cercando "disperatamente" l'audio della puntata di Alcatraz del 30 settembre 2001 (credo...)... in cui rispondeva all'articolo della Fallaci (La Rabbia e L'orgoglio)...

Il testo lo so quasi a memoria ma mi piacerebbe sentirlo letto da Jack

Grazie a tutti

Simo
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When you have eliminated the impossible, whatever remains, however improbable, must be the truth.
-- A. Conan Doyle
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Vecchio 09-07-2003, 14.32.04   #2
Lello
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Re: Audio di Jack Folla

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Sto cercando "disperatamente" l'audio della puntata di Alcatraz del 30 settembre 2001 (credo...)... in cui rispondeva all'articolo della Fallaci (La Rabbia e L'orgoglio)...

Il testo lo so quasi a memoria ma mi piacerebbe sentirlo letto da Jack

Grazie a tutti

Simo
Se possedi il testo puoi allegarlo per favore?

Spero che Jack Folla riprenda e non sia stato fagocitato dal perbenismo della RAI Berlusconiana

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Vecchio 09-07-2003, 15.45.48   #3
simoner
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Vecchio 09-07-2003, 15.48.00   #4
Lello
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Grazie mille
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Vecchio 12-07-2003, 18.59.16   #5
afterhours
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lo ascoltavo sempre...sarebbe troppo bello se ritornasse...
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Vecchio 13-07-2003, 11.07.53   #6
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lo ascoltavo sempre...sarebbe troppo bello se ritornasse...
Si potrebbe pensare di scrivere direttamente agli autori.

Cugia è davvero bravo
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Vecchio 13-07-2003, 11.20.28   #7
Paco
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Vecchio 13-07-2003, 12.51.23   #8
Skorpios
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http://www.polaris.it/SIMO/famosi/Folla2.htm

Grazie del link anche da parte mia simoner...



Ho letto... ed ho notato un dettaglio... che sono sicuro sarà sfuggito a molti, perchè decisamente di "secondo piano"...

Jack, nel riferirsi a ciò che avrebbe "incendiato" il suo giornale dice che non è a causa della sua "porca gitane"... (le Gitanes come saprete sono sigarette francesi, prodotte col filtro e senza... le ho fumate per molti anni)... e definisce quest'ultima "quella m@rda di bionda paglia secca"...

Ora... come "tutti" sanno, le Gitanes sono sigarette fabbricate con tabacco bruno al 100%... (tra l'altro i francesi utilizzano pochissimi trattamenti chimici nelle loro piantagioni... però, in compenso, sono pieni di centrali nucleari) ... e definirle bionde è praticamente un'eresia... io non so che valore attribuire a questa "svista"... o meglio, lo so ma mi piacerebbe sentire anche cosa ne pensa qualcun altro, e mi riferisco soprattutto agli assertori, più che ai detrattori, in questo caso... personalmente potrei esserlo anch'io, un assertore, ma non nutro epidermicamente grosse simpatie per l'autrice dell'articolo citato da Folla, e credo di non averlo neppure letto... per quanto riguarda il resto poi, la mia ignoranza cronica mi impedisce di pronunciarmi nello specifico... in fondo, la trasmissione era prodotta dalla televisione di stato... e mi chiedo se mai possa questo tipo di istituzione produrre qualcosa di davvero alternativo... non solo nelle apparenze... oppure, più semplicemente e prosaicamente forse, non sia una specie di bluff... sempre ed in ogni caso... ancora una volta una specie di collettiva sega (mentale) catodica... con tutto il rispetto... me compreso, e me per primo... anche se non guardo più la tv...


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Vecchio 13-07-2003, 13.24.54   #9
sarahkerrigan
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Grazie del link anche da parte mia simoner...



Ho letto... ed ho notato un dettaglio... che sono sicuro sarà sfuggito a molti, perchè decisamente di "secondo piano"...

Jack, nel riferirsi a ciò che avrebbe "incendiato" il suo giornale dice che non è a causa della sua "porca gitane"... (le Gitanes come saprete sono sigarette francesi, prodotte col filtro e senza... le ho fumate per molti anni)... e definisce quest'ultima "quella m@rda di bionda paglia secca"...

Ora... come "tutti" sanno, le Gitanes sono sigarette fabbricate con tabacco bruno al 100%... (tra l'altro i francesi utilizzano pochissimi trattamenti chimici nelle loro piantagioni... però, in compenso, sono pieni di centrali nucleari) ... e definirle bionde è praticamente un'eresia... io non so che valore attribuire a questa "svista"... o meglio, lo so ma mi piacerebbe sentire anche cosa ne pensa qualcun altro, e mi riferisco soprattutto agli assertori, più che ai detrattori, in questo caso... personalmente potrei esserlo anch'io, un assertore, ma non nutro epidermicamente grosse simpatie per l'autrice dell'articolo citato da Folla, e credo di non averlo neppure letto... per quanto riguarda il resto poi, la mia ignoranza cronica mi impedisce di pronunciarmi nello specifico... in fondo, la trasmissione era prodotta dalla televisione di stato... e mi chiedo se mai possa questo tipo di istituzione produrre qualcosa di davvero alternativo... non solo nelle apparenze... oppure, più semplicemente e prosaicamente forse, non sia una specie di bluff... sempre ed in ogni caso... ancora una volta una specie di collettiva sega (mentale) catodica... con tutto il rispetto... me compreso, e me per primo... anche se non guardo più la tv...



Ciao Skorpy, pur avendo "sfumazzato" le Gitanes, non mi sono accorta del "particolare" ... per me, è stato solo occasionale e periodico. Invece ho seguito (per quel che ho potuto) ed apprezzato le trasmissioni televisive, non ho avuto modo di ascoltare quelle radiofoniche, nonchè la prima versione del sito dello stesso: una sensazione che mi è rimasta un po', diciamo incerta, è la ridondanza del suo stile e nelle informazioni, l'eccessiva enfasi proposta nei suoi scritti e le denunce un po' troppo "urlate"...siccome sono sensazioni che non ho mai avuto modo di approfondire, interessa anche a me leggere opinioni al riguardo da chi ne sà di più...
Per quanto riguarda la Fallaci, ho letto i suoi articoli ed un libro, "Un uomo" dedicato a Panagoulis...non ha mai riscosso le mie simpatie ...di lei ho anche notizie ed impressioni personali riferitemi da un personaggio singolare del quale ho accennato in un 3d dedicato alla famiglia Steiner




...grazie del link anche da parte mia, Simoner

Ultima modifica di sarahkerrigan : 13-07-2003 alle ore 13.54.25
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Vecchio 15-07-2003, 10.14.41   #10
simoner
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In ritardo ma ero in ferie... avete mai letto anche l'articolo della Fallaci (di cui quello di Jack è la risposta...)???

E' interessante leggerli entrambi...

Lo aggiungo sul sito tra poco

www.polaris.it/simo
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Vecchio 17-07-2003, 23.18.30   #11
Lello
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Il ritorno

Il ritorno di Jack Folla


http://www.diegocugia.com/unitaflash.html
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Vecchio 03-12-2003, 07.27.48   #12
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Jack mi manchi un casino,era cosi' bello sentir la tua voce alla radio...

Non so se i padri italiani di oggi diano ancora qualche principio morale ai loro figli, ma suppongo di sì, e che sia più difficile di ieri. I "si dice e non si dice", i "si fa e non si fa", si tramandano di generazione in generazione, qualcuno resta in vigore, molti si depennano, altri ancora, che ieri erano veri e propri dogmi, oggi farebbero addirittura sghignazzare.
L'inchino e il baciamano alle signore, per esempio, qualcuno se lo ricorda? Eppure negli Anni Sessanta era in pieno vigore. Ero un bambino di cinque, sei anni, ma dell'inchino già sapevo tutto: l'inclinazione esatta della schiena; l'attesa, in quella posa, della concessione della mano da parte della signora ("Non devi afferrargliela tu per fare prima!" mi sgridava mio padre); il tocco leggero che avrebbero dovuto avere le mie dita; l'aereo e impercettibile sfiorare delle labbra sul dorso della sua mano ("Mai schioccare le labbra, né quando baci la mano, né quando mangi la minestra"!) infine il ritorno scattante in posizione eretta, contemporaneamente al farmi da parte. Ero talmente nevrotizzato dal baciamano che una sera, all'ingresso di una coppia invitata a cena dai miei, baciai la mano di entrambi. Un vocione mi sgridò: "Non sono mica una signora, carino", mettendomi in mano il suo cappello. I miei genitori mi derisero, e io fuggii da quello sghignazzo generale, rosso come un garibaldino.
Si può diventare delinquenti anche per un eccesso di galateo, e non sarò certo io a rimpiangere le regole che infransi.
La rivolta contro la famiglia, per quelli della mia generazione, fu soprattutto un attacco all'ipocrisia. La cravatta, il baciamano, il rigoroso rispetto degli orari, il diritto alla parola solo se interrogati, il sesso negato al di fuori del matrimonio, ci sembravano gesti imbalsamati, stili di vita da sepolcri imbiancati, comportamenti che, salvando l'apparenza in nome di un bigotto "rispetto umano", occultavano i panni sporchi dei contenuti. Diventare "capelloni", cantare We don't need no education/We don't need no thought control, per abbattere il muro con i Pink Floyd, mettere fiori nei cannoni o imparare a memoria l'Urlo di Allen Ginsberg come fosse le Bhagavadgita, fu anche il nostro controgalateo.
I padri degli Anni Sessanta, ovviamente, non erano tutti dei Padre-padrone alla Gavino Ledda, così come noi non fingevamo di suicidarci per attirare l'attenzione dei genitori, appendendoci a un lampadario o sgozzandoci nella vasca da bagno, come il protagonista di quel delizioso film di Collins Higgins Harold e Maude. Per esempio, non sentii alcun bisogno di contestare mio padre quando mi additò come modelli umani, i poeti, i vagabondi e, in genere, gli uomini fantastici. Quando mi esortava a guadagnarmi da vivere poco più che ragazzino, per raggiungere l'indipendenza economica, e potermi così permettere "una cameretta" tutta mia, "senza dover rendere conto neanche a tuo padre". Ricordo di aver imparato da lui ad amare e rispettare la Costituzione, non dalla scuola. La difesa e il rispetto dei deboli, degli oppressi, di chi non ha voce. Molti di questi insegnamenti, di queste regole non scritte, che avrebbero permeato quasi inconsciamente i miei comportamenti da adulto, nascevano da aneddoti di vita quotidiana. Un mio cuginetto m'insegnò a cucire borsellini di cuoio. Mostrai a mio padre i primi soldi guadagnati, raggiante. Qualche settimana dopo, scoprii che mio cugino guadagnava, sui borsellini cuciti da me, il cinquanta per cento. Tremavo dalla rabbia. Mio padre mi disse: "Eri felice o no quando pattuiste il tuo compenso?" Dovetti ammettere di sì. "Allora di che ti lamenti? Impara a fare i tuoi affari e sii felice degli affari degli altri." Immagino sia per questo che nella lunga lista dei miei vizi, l'invidia è agli ultimi posti della graduatoria
Gli insegnamenti dei padri non muoiono con loro se ne riconosciamo la giustezza, e se ci sono stati trasmessi con l'esempio e attraverso una forte emozione. Si possono persino tramandare dei luminosi sensi di colpa. Nel 1943, alla stazione di Firenze, durante una sosta del suo treno, a notte alta, mio padre fu incuriosito dai lamenti provenienti da un altro convoglio. Scese sul marciapiede e scoprì, nel binario adiacente, un treno di deportati, zingari ed ebrei. Per tutta la vita rimase ossessionato dal visetto di una bimba che implorava acqua. C'era la fontanella a due passi, ma lui era rimasto talmente travolto dall'emozione e dalla paura di venire scoperto dalle milizie che non trovò il coraggio nemmeno di portarle un bicchier d'acqua. Non si perdonò mai. Quella sua confessione, quand'ero poco più che un bambino, m'indusse a leggere decine di libri sull'olocausto.
Il valore di un bicchiere d'acqua non dato, ha ancora un senso nell'Italia di oggi? Quali sono i modelli di riferimento? Se è vero che la corruzione ha ripreso a dilagare, (come tutti segretamente confermano e pubblicamente tralasciano di sottolineare), e la regola, ormai, è farsi pagare un quarto in chiaro e tre quarti "al nero", come può un padre trasmettere ragionevolmente a suo figlio un valore come quello dell'onestà? Non temerà di farne un "disadattato" e un perdente? Il rischio è che taccia, e che si taccia ogni valore, con la scusa della "caduta dei valori", e quella di non fare la figuraccia di passare per "moralista", che (probabilmente sono di coccio) non ho mai capito bene quando e perché sia diventata una parolaccia, mentre la corruzione, l'arroganza del potere, l'omertà e il lobbysmo di stampo mafioso sono assunti a modelli di furbizia all'italiana, liquidabili con un'alzata di spalle e una strizzatina d'occhio.
Sono riflessioni naïf, ma non mi scandalizzo. Le verità sono sempre naïf, sgradevoli da dire e da sentirsi dire. Da ragazzino mi sono venuti gli occhi bianchi a forza di rovesciarli al cielo per i "pipponi morali" di mio padre. Poi i padri muoiono e qualcosa dentro ti resta, ci devi fare i conti, riabbassare le pupille e guardarla negli occhi. Mio padre, per esempio, aveva il pallino del "senso dello Stato", una fissa. "I politici devono essere al servizio del paese, non l'inverso". S'infuriava se un corteo di autoblù mortificava il traffico e si domandava se quell'onorevole culo di pietra avesse davvero avuto la stessa urgenza di un'autoambulanza, perché solo una questione di "vita o di morte" avrebbe potuto giustificare quella rombante arroganza.
So di essere stato fortunato per aver visto "Z, l'orgia del potere" di Costa Gavras insieme a mio padre, e se ci piacque a entrambi, posso serenamente riconoscergli di aver fatto, con me, un buon lavoro. Tutta quest'accozzaglia di pensieri e di ricordi mi è transitata per la mente sabato sera, durante un siparietto di Panariello, quando il maestro Apicella ci ha cantato il suo CD scritto dal paroliere Silvio Berlusconi. Un po' perché un presidente del consiglio è il padre di tutti gli italiani, un po' perché poche ore dopo sarebbe stato il 2 Novembre, il giorno dei morti, e sarei dovuto andare al camposanto a trovare mio padre, cosa che puntualmente non ho fatto. Era bravo, bravissimo Panariello, a stuzzicare il miracolato Apicella, il pastorello di Fatima della musica leggera italiana. Era bravissimo e furbissimo, come siamo diventati tutti noi italiani, a farci pagare in nero facendo finta di essere onesti, e a fare uno spottone al premier facendo finta di prenderlo per il culo.
Applausi, risate, sgomitate. Ma il malessere mi toglieva il respiro. Così mi sono chiesto che avessi, e mi sono venute in mente soltanto due parole: mio padre e Berlusconi. Tutto qui.


Jack Folla
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Vecchio 02-04-2004, 00.17.59   #13
afterhours
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letto ora dal blog di jack folla


LETTERA DALLA SARDEGNA

Dopo aver fumato anche la sabbia, in Marocco, approfittando della disoccupazione forzata dai canali della radio pubblica, sono tornato alle origini, nel mio "confino" sardo, a fare il vagabondo volontario per quella "Cosa" di centrosinistra che sta nascendo in quest'isola attualmente governata da sventurati.
Quello che m'interessava scoprire era se un personaggio come Renato Soru, che ha internazionalizzato la Sardegna con un clic, sarà l'apripista di una nuova classe politica dell'Ulivo, che politica non è. Tutto, infatti, si può dire di Soru meno che sia un politico, e questa è la sua forza dirompente, che un domani potrebbe rivelarsi il suo limite, perché se vuoi governare la Sardegna è più facile scardinare un meccanismo ormai logoro, e stabilire un patto di fiducia con la gente, ma molto più arduo, credo, sarà ricostruire un linguaggio originale e un rapporto vivificante con le forze politiche e sindacali. La sfida, in fondo, è proprio questa: governare un cambiamento, e non limitarsi a cavalcare una frattura fra i partiti e la gente, insomma, non limitarsi a incarnare l'Uomo del No.
Sarà perché ha studiato dagli Scolopi, sarà perché ha già creato, partendo dal nulla, un piccolo impero tecnologico, credo che l'uomo di Sanluri possa fare questo salto di qualità se, come ha promesso a 46 anni, è disposto a cambiare il proprio carattere prima ancora di rimodellare quello millenario della Sardegna. Per assaggiare uno spicchio della storia di quest'isola, mi fa particolarmente piacere pubblicare sul sito il breve discorso che ho tenuto alla Fiera Campionaria di Cagliari, dove, tre giorni fa, Renato Soru ha aperto la sua campagna elettorale.

Io devo a Berlusconi due cose: di avermi dato la spinta a scrivere romanzi e di avermi fatto tornare, per Soru, nell'isola dei miei padri. Le due cose che Berlusconi mi ha regalato sono due lunghe censure, due periodi di disoccupazione e silenzio.
Dieci anni fa, nel 1994, ero un semplice autore di programmi di satira. La domenica mattina, nello spazio storico del Gran Varietà di Radio 2, scrivevo e conducevo "La domenica delle meraviglie" con un attore sardo che ricordo con immenso affetto: Gianni Agus. Mi ero da poco sposato ed era nato il mio primo figlio. Vivevo in campagna, in Umbria, una casa che poi ho venduto perché avevo cercato di costruire laggiù quella casa, quella terra, che in Sardegna non avevamo più. Poi ho capito che la speranza non basta, la Sardegna non si può sostituire. Adesso non voglio fare Rossella O' Hara in Via col Vento, ma da quando vidi quel film da bambino, la scena di Rossella che prende un pugno di terra e alza il pugno al cielo perché vuole, dalla macerie della propria anima e della sua proprietà, ricostruire la sua casa e il suo futuro, da quando vidi quella scena ho sempre pensato alla mia terra, la Sardegna. Dieci anni fa, dicevo, nel mio varietà facevo satira sulla discesa in campo di Mastrolindo. Così, quando Mastrolindo andò al governo, la Rai mi mise alla porta.
Avevo appena comprato quel pezzo di terra in Umbria e stavamo ristrutturando una casa. Avevo più mutui che capelli. E non potendo fare il mio mestiere, scrivere per la radio o per la TV, mi misi a scrivere un romanzo perché avevo scoperto una storia bellissima e dimenticata, i Vespri Sardi. La storia era questa: Nel 1853 il governo piemontese soppresse l'antico corpo dei cavalleggeri sardi e inviò sull'isola un fiammante e strombazzante reggimento dei bersaglieri. Per questi ragazzi piemontesi e genovesi con le piume al vento fu come un viaggio in Africa. Vi ricordo che all'epoca, Cavour diceva frasi come queste: "Finché i cagliaritani non avranno acqua per lavarsi non imboccheranno mai la strada della civiltà." Sono passati 150 anni, l'acqua non c'è ancora, ma di civiltà ne abbiamo da vendere. Dunque i bersaglieri scendono dal vapore Malfatano, a Porto Torres, con la loro fanfara, e corrono fra due ali di sardi in costume, dai volti di pietra, che non si entusiasmano neanche un po'. Il loro presidio nell'isola è la solita storia di colonizzazione: un po' di razzismo, vessazioni, insomma, sardi italiani di serie B, prima ancora che ci fosse l'Italia unita di serie A.
Il fatto è questo. I sassaresi festeggiano il carnevale al Teatro Verdi. I cartelli alle pareti ammoniscono i militari a togliersi il cappello per ballare con le dame. In città si vocifera di una signora sarda, sposata, che pare abbia una tresca con il maggiore dei bersaglieri. Tutta Sassatri è schierata col cornuto, perché stare con un gallinaccio piemontese pare un'offesa a tutta la città. Il maggiore entra in scena e, tenendosi il cappello piumato piantato in testa, nel bel mezzo della pista da ballo del Verdi, invita a ballare l'amante sassarese, davanti al povero e costernato marito. Dai loggioni partono fischi e proteste: "Giù il cappello, disgraziato!" Come tutta risposta il maggiore dei bersaglieri chiama i suoi alle spade. E, in un loggione, un povero ragazzo che non c'entrava nulla viene infilzato come un galletto. Apriti cielo, Sassari in rivolta, fu un carnevale di sangue. I bersaglieri misero a ferro e fuoco la città per tre giorni, ma…udite udite…al terzo giorno capitolarono. All'alba una lunga fila di bersaglieri s'incamminò verso porto Torres scortata dal popolo in armi. Furono rimparcati a forza sul Malfatano. E il vapore ripartì per Genova con il suo carico piumato.
La cosa, ovviamente, non piacque affatto ai notabili di Torino. Sei mesi dopo una flotta al comando del generale Durando assediò l'isola, che venne commissariata. Tutti i cittadini di Sassari, Oristano, Cagliari dovettero consegnare le armi. E da quel giorno, con le buone o con le cattive, la Sardegna divenne italiana, prima di tutte le altre regioni d'Italia.
Chissà perché queste cose ancora non si raccontano a scuola.
Il mio romanzo "Il Generale e la Luna" è ancora in un cassetto, fermo a pagina 250. Non so perché, non sono mai riuscito a trovare una fine. Forse perché non c'è ancora. Dieci anni dopo, Berlusconi è tornato. Nel frattempo avevo scritto otto libri, e svariati programmi radiotelevisivi. Ma la storia si è ripetuta tale e quale. Censura e silenzio. E per la seconda volta devo dire grazie a questa luna nera. Perché se facessi come miei colleghi che lavorano sotto tutti i padroni e sotto tutti i regimi (basta accendere le tv per vedere le faccie di cui parlo) oggi non sarei qui. Ma mio padre, sardo, mi ha insegnato da bambino che bisogna trasformare la luna nera in un sole. Ora non c'è più ma la sua Sardegna c'è sempre e oggi noi siamo qui per custodirne la storia e il futuro. Mi auguro davvero che questa volta ce la faremo.
Alle mie spalle c'è questo striscione con lo slogan "Da oggi il cuore della Sardegna batte più forte." Io spero che il mio cuore, invece, batta molto ma molto piano e dolcemente, per poter vivere il più a lungo possibile nella Sardegna che rinnoveremo con Renato Soru.
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Vecchio 01-05-2004, 03.57.59   #14
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DA UN'EPOCA ALL'ALTRA

(Cagliari, martedì 20 Aprile)

Jack riparte. Vita da pendolari. Torno nella jungla, bella e feroce, di Roma. Era così ai tempi di Adriano, così è ai tempi dell'imperatore cavaliere. Differenze? Sfumature e polvere. E con Cagliari? La gentilezza. Oggi come ieri. Sapete qual è stata la prima cosa che mi ha sbalordito? Attraversare la strada in Sardegna. O sulle strisce o senza strisce gli automobilisti rallentano, si fermano, e con un cenno t'invitano ad attraversare. Un caso? Me lo sono chiesto anch'io, lanciandomi con guizzi sventurati da un marciapiedi all'altro, zigzagando, camminando all'indietro, o a bocca aperta guardando un asino volante. A Milano, Napoli, Roma, mi avrebbero ridotto un carasau, una salciccia, uno sputo. Nella migliore delle ipotesi maledetto per sette generazioni o infilzato a un palo della luce. A Cagliari mi sto pizzicando il braccio con la valigia. Ahi. Sono vivo.
Ieri sera ho cenato in un'osteria che di più povere e tristi non ce n'è. Sul carrello dei pesci languivano due triglie, tre gamberi, e un calamaro disperato. Erano freschissimi ma soli. Un'antichissima signora vestita di nero con i capelli candidi raccolti dietro la nuca ha salutato lo straniero con un inchino ed un sorriso. Suo figlio, che avrà avuto sessant'anni, mi ha accompagnato al tavolo con un'eleganza che al Louis XV di Montecarlo se la scordano. Ero buio e silenzioso come il mare di notte e mi hanno fatto sentire un re. Ho mangiato quel calamaro e quei tre gamberi in un vassoio guarnito da ananas, meloni e uva. Hanno stappato un Cannonau della casa che sapeva d'infanzia e di primavera. Mi hanno offerto dei dolci squisiti, mi hanno chiesto chi ero e da dove venivo e se mi trovavo bene a Cagliari, e io, che sono una bestia urbana, ho pensato: "Vedrai il conto che mazzata". Quando ho letto sulla ricevuta fiscale 12 euro, mi sono quasi commosso e avrei voluto raddoppiarli come una fiche sul nero alla roulette, e ricominciare da capo coi gamberi e il resto.
Dal giornalaio è lo stesso. D'accordo, di quotidiani me ne faccio dodici al giorno, sono una dose da cavallo anche per gli edicolanti maleducati, strapperebbero uno straccio di sorriso persino a un giornalaio di Via Veneto, ma qui a Cagliari, sotto ai portici, c'è un omino terrorizzato dalle difficoltà della vita che se li ricorda a memoria e, come mi vede arrivare, recita a se stesso tutte quelle testate altisonanti, con un sorriso interiore, come una dolcissima preghiera. Il sorriso di quest'omino è un'altra cosa dal ghignetto di un edicolante nazionale che si sfrega le mani per i dodici pezzi venduti, perché non ha nulla di venale, ma è un piccolo sorriso di gloria che mi fa sentire riconosciuto e accolto, e la medesima attenzione me la riservano al bar sia il cameriere che il cassiere, e non c'è deferenza, e non sanno chi sono, ma dal secondo giorno sono loro a ricordarmi, non appena varcata la porta, che a colazione io prendo un caffè doppio. E questa gentilezza di Cagliari io me la porto nel cuore, e m'induce la stessa ebbrezza che mi fanno le navi al mattino, la prima visione che ho quando esco di casa, e mi ricordano che dobbiamo essere felici perché in questo mondo è vissuto uno scrittore che si chiamava Conrad e che esistono persone umili e miti che trasformano i "cuori di tenebra" in lucciole.
Tanti e tanti anni fa, ai primi del '700, un giovinetto dal mio stesso cognome fu spedito dal padre, esiliato a Napoli, nella sua antica terra. Arrivò a Cagliari su un vascello, dopo sette giorni di navigazione, e per un ingenuo "miracolo". Scrisse infatti a suo padre: "Infastidito io dunque da sì penosa calma e vento contrarii, dissi che se le anime del purgatorio mi facean giungere in Cagliari, subito giunto gli avrei fatto dire quattro Messe in loro suffragio. Ed appena profferite queste parole cangiossi il vento, e felicemente il giorno prefisso, alle Dieci ora della mattina, diedimo fondo in questo Porto di Cagliari". Quel giovinetto che si chiamava Andrea, fu accolto dal Viceré col quale "una sera sì una no gioco ai tarocchi", e si mise a girovagare per la città che così raccontava al suo Amatissimo Signor Padre: "E per primo v'assicuro che quel si è di materiale della Città, cioè Palazzi, architetture, templi, strade ed altro, non mi piace un nulla, per esser quasi tutta montuosa. Ma quel si è tratto, gentilezza e cortesia delle dame e cavalieri e d'ogni altro ceto di persone, non l'ho sperimentato in niun paese ove sono stato, cosa, alcerto, che a me molto piace. E per secondo, non è mica come io la credeva, ignorante, essendovi uomini dotti in tutto, come historiografi, eruditi in belle lettere, leggisti, buoni ballerini alla francese, qualcheduno che gioca bene la spada all'italiana, e molti cavalcatori, cosa alcerto che mi fa star qui con più soggezione che stava costì."
Pendolari di ieri e di oggi. Stranieri del Settecento e del Duemila. Arriviamo, partiamo, ci disperdiamo con la polvere. Nessuno saprà mai la nostra unione.
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Vecchio 12-07-2004, 02.49.31   #15
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da MICROMEGA in edicola una nuova lettera del papà di Jack Folla

POETI E SERPENTI
DI DIEGO CUGIA

Cari mamma e papà,
mi domandate spesso mie notizie, ma io mi sento più da voi che di qua, assai più morto che vivo insomma, e faccio davvero fatica a "stare dritto e sorridere" come vuole papà e a incarnare i desideri di mamma: "Io mi auguro che tutto ciò che di bello, di puro e di grande offra la vita, tu lo abbia."
Senza offesa, io penso che voi -in quanto già belli che andati- non abbiate idea delle meschinità in cui è precipitata l'Italia negli ultimi tre anni, e questo ve l'assicuro non per mia giustificazione (lo so bene che ho "il dovere di essere felice", papà) ma per quello che sento, vedo e leggo tutti i giorni, e ti si appiccica come fango a croste, o pioggia acida.
Le elezioni, mi chiedevate.
Insomma.
Calma Pa', non agitarti, "Superbone" ha perso, anche se le televisioni più servili della terra, quelle italiane, hanno mentito fino al terzo giorno, tipo San Pietro e il gallo. I suoi voti, in compenso, sono piovuti in bocca come lasagne a Follini. Sai mamma, quell'amico di Emanuele… come "Chi?", quello con la faccia da tartaruga di buona famiglia, che ti piaceva tanto perché si veste da Cenci a Campo Marzio come il nonno, quello che quando era consigliere d'amministrazione della Rai, in un altro momento di lunga disoccupazione "politica", voleva convincermi, invece, che la questione stava in questi termini: "La Rai", mi spiegò, "è una grande mamma che divide la torta equamente fra tutti i suoi figli. Se questa grande mamma non le ha avanzato neppure una fetta un qualche brutto motivo ci sarà. Ma lei è proprio sicuro di saper fare il suo mestiere? Sa fare la radio?"
Gli risposi: "No".
Solo uno spudorato poteva rispondere "Sì" nella Rai che era stata di Gadda. "No", perché la radio la sapevano fare Orson Welles e Dylan Thomas.
Ma lui mi disse: "Vede?"
Sì. Dieci anni dopo, come esclamano i grandi isterici in posa estatica sul letto dei manicomi: vedo! O i giocatori arditi di fronte ai pokeristi che bleffano: vedo! È la seconda volta che lo vedo, perché è la seconda che Superbone va al governo, e vedo che io e pochi altri ci fermiamo per un giro. Sempre i soliti, e sempre quando al governo sale Superbone. A questo giro qui, (domani fanno due anni e due mesi) mi sono venduto pure il piatto napoletano di nonna, (dai mamma, adesso non farti venire "l'attacco", sono solo vecchie robe, me l'insegni tu che non si portano nella tomba); che altro? Ah sì, i due bronzetti, e il cassettone con ribalta. Mamma, avrò pure "le mani bucate", ma com'è che quando ci sono i governi di centrosinistra non mi vendo nulla? Sarà vero solo per me e un'altra sporca dozzina che, quando c'è un governo Superbone, se non lavoriamo "un brutto motivo ci sarà"? La grande mamma, come diceva tartarughino, ha capito davvero che non siamo bravi, o soltanto che non siamo bravi bambini?
Vabbè, amen, detesto i presunti martiri e gli eroi.
Voi due direte: "La verità starà nel centro". E no. Nel centro questa volta proprio no.
Insomma, ve lo confesso: l'ho fatto. Neanche uno sbaffo su un monumento nel Sessantotto, né un muralesino nel Settantasette, e l'ho fatto adesso, quasi da vecchio, sabato notte di una settimana fa. Un bel NON con la verniciona rossa. Sui manifesti elettorali del tartarugo. NON. Sul politico che piace tanto alle mamme: NON.
Sì, lo so che a cinquant'anni suonati, con due figli piccoli e un'ex-moglie bambina a carico, non mi posso "permettere il lusso di essere infantile", ma cari genitori, questo languido centrista è uno che si è alleato con Borghezio da un lato (quello che dice che agli immigrati e agli Imam gli fa un culo così) e con La Russa dall'altro (quello che a proposito del voto agli immigrati dichiarò che "Faccetta nera dimostrava l'attenzione della destra per l'integrazione" ma si dimenticò di aggiungere "tantevvero che i fascisti la misero subito al bando"). E uno che rifà l'Italia con chi la sfascia, si fa ritrarre, col sorriso da primo della classe equilibrato, su manifesti alla Mulino Bianco fra bambini cinguettanti e vecchietti in fiore? Con la scritta "Io c'entro"? No, io NON c'entro.
Io NON c'entro. Io NON c'entro. Tre volte di fila per tre manifesti tre per tre, come quando facevo l'amore a vent'anni, poi ho gettato secchiello di vernice e pennello extralarge nel Tevere.
"Bell'esempio di civiltà"?
Mamma, i miei bambini non leggono Micromega. E amen.
"Sei sempre il solito ciuccio e presuntuoso. Non cambierai mai." Lo so, ci sono cascato pure in questa lettera che vi volevo scrivere al di là dello spazio e del tempo, papà. Mi ero detto: tranquillizzali, non farti trascinare da questi giorni di "astratti furori", come scrisse nel dopoguerra Vittorini, o da ripicche e bassezze, comprese le tue; non personalizzare, dimostra ai tuoi poveri cari che sei forte, distaccato, equilibrato e saggio come avevano tentato di educarti, altrimenti la loro morte non avrà alcun senso, nemmeno l'ultimo a cui ci si aggrappa nella vita: i figli, e tu ne sai già qualcosa.
Ricomincio da capo, ma vi lascio anche questa brutta copia, perché questo pure sono io, vorrà dire che se l'inghiottirà un buco nero quando riuscirò a capire come s'imbucano le lettere nell'universo, perché ho perso il mio postino e la mia stella.
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