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Vecchio 12-05-2005, 23.22.37   #1
TyDany
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Le moto del futuro secondo Miguel Galluzzi

Oltre dieci anni fa con la Ducati Monster ha rivoluzionato il settore delle moto sportive, imponendo al mondo le naked dell’era moderna. Con la Raptor ha ulteriormente spostato in avanti il concetto di moto nuda, ponendo le basi per una nuova generazione di due ruote. Lo abbiamo incontrato nel suo studio di Varese dove dirige il design Cagiva e abbiamo scoperto che...

Schietto proprio come le sua creatura più famosa, Galluzzi è un vulcano di idee e di opinioni che non manda certo a dire… Nato nel 1959 a Buenos Aires, Galluzzi ha sempre avuto nel sangue la passione per i motori e anche se odia gli scooter, ha un'attrazione viscerale per le moto. Il padre correva, lo zio correva, persino il nonno correva in moto. E proprio la moto lo conquista subito. Si iscrive alla facoltà di ingegneria di Miami, ma dopo due anni scopre la scuola di design a Pasadena e decide di seguire la sua ispirazione. Il primo impiego è nel mondo dell’auto, alla Opel, in Germania, dove realizza gli interni della Corsa model year 91 e il restyling della Omega, ma da dove scappa appena può per dedicarsi al primo amore. Nel 1988 passa infatti alla Honda e si trasferisce in uno studio di design alle spalle del Duomo di Milano. Nel 1989 il passaggio alla Cagiva, di cui ancora oggi è responsabile del design.

Ha creato la Monster quando la Ducati era ancora dei fratelli Castiglioni, poi ha dato alla luce modelli con il marchio Cagiva nonché innumerevoli restyling. Ora ci riprova con la Raptor, la V-Raptor" e l’ultimissima Xtra-Raptor, che segna un altro trampolino di lancio per l’ennesima rivoluzione nel settore delle moto. Ecco il Galluzzi pensiero estrapolato da una conversazione a trecentosessanta gradi in cui si parla di moto, di futuro, di Monster, design, ma non solo...

Da cosa deriva questo grande amore per le moto?
Semplice, vengo da una famiglia di motociclisti: mio padre è stato campione sudamericano di moto negli Anni 50 e 60, mio zio anche, nelle grosse
cilindrate. Mio padre era nel team ufficiale Argentino, correva con una Norton Manx e ha finito la sua carriera con la NSU Sportmax; a casa mia tutti erano piloti di moto, ma visto che l’evoluzione naturale di un pilota di moto è passare alle auto, mio padre ha cominciato a correre in macchina. Il giorno in cui sono nato, ha vinto un Gran Premio. Anche mio nonno correva in moto. Ho ancora le foto di quando correva con le Harley Davidson, nel 1920. Logico quindi che io e mio fratello appena abbiamo avuto l’età, abbiamo cominciato a correre in moto.

Perché ha lasciato il mondo dell’auto?
Una delle ragioni è dovuta ai tempi di progettazione lunghissimi. Alla Opel
lavoravo su modelli che sarebbero stati prodotti cinque anni dopo. Oggi i tempi si sono un po’ accorciati, ma la politica, la burocrazia… passa sempre troppo tempo prima di arrivare al prodotto finito. Con le moto, invece, è completamente diverso. Nel caso della Husqvarna, per esempio, ogni sei mesi proponiamo una moto nuova, o un particolare nuovo da rifare, da ripensare… Prendiamo la Raptor: il primo schizzo l’ho fatto nell’estate del ’98. L’abbiamo messa in produzione 18 mesi dopo, con la preserie già fatta. Diciamo che, normalmente, i tempi sono di 22-26 mesi, a seconda della complessità del mezzo.

Solo per questo?
No, alla Opel sono rimasto due anni. In quel momento io e mia moglie abbiamo
avuto un figlio e il trasferimento dalla California alla Germania è stato uno shock culturale, il lavoro era troppo lento. Quando ho saputo che la Honda voleva aprire uno studio di design a Milano, mi sono proposto e mi sono trasferito da loro. Era sempre stato il sogno di Soichiro Honda avere uno studio di design a Milano, per ciò che Milano rappresentava nel design, nella moda… In realtà era un ufficio satellite, serviva solo a capire ciò che succedeva in Italia, a studiare le tendenze stilistiche e il design delle moto italiane... E’ durato solo un anno: non riuscivano a concludere niente, ci venivano delle idee, le proponevamo, mandavamo i progetti in Giappone e lì si perdevano.

Nel 1989 è arrivato a Varese e poi è nata la Monster…
La Monster è addirittura nata quando ero ancora in Honda. Si parlava di progettare la CBR 600 F2, come evoluzione della CBR F1, che era completamente carenata. Gli schizzi che facevamo erano tutti di moto
carenate, con plastica dappertutto. Poi, un giorno, su un giornale ho trovato questa foto (ci mostra la foto di una Ducati 750 F1 completamente spogliata della carenatura n.d.r.), era la versione tricolore 1988 e mi sono detto: "a me piacerebbe avere una moto così. Questa sarebbe la mia moto, senza tutta questa plastica di m… intorno". Ho subito fatto uno schizzo e quando sono arrivato in Cagiva (nel 1989) ho fatto vedere i miei disegni e ho detto: "dobbiamo assolutamente costruire questa moto". Loro dicevano "sì, sì…", ma poi, come succede sempre… Sono passati due anni in cui ho disegnato scooter di tutti i tipi e colori, fino a quando, nell’estate del 1991 ho preso un telaio della 851, un motore 900, ho messo i pezzi insieme e ho costruito il prototipo. Ricordo alcuni personaggi della Ducati che dicevano che quella moto non sarebbe servita a niente.

E' comunque una storia a lieto fine...
L’abbiamo terminata per febbraio e l’abbiamo fatta vedere a tutti. In quel
momento sarebbe stato bello avere una telecamera per filmare le facce… "ma… è così? Non manca qualche pezzo?" In un momento dove le moto erano tutte carenate, vederne una cosa così nuda e cruda, era uno shock troppo forte da digerire. Li ho convinti, ma ho dovuto stressarli da mattina a sera. Nell’aprile del 1992, l’abbiamo esposta ad una convention di tutti gli importatori del mondo, quando hanno visto la moto sono rimasti colpiti, dicevano "questa costerà sicuramente poco". Abbiamo quindi fatto un investimento contenuto per la produzione di 1000/1200 moto, dovevamo fare un serbatoio, qualche pezzo qua e là. Il progetto era partito... e non si è ancora fermato.

Come è nato il nome Monster?
L’ho chiamata Monster perché i miei figli (che all’epoca erano piccoli) giocavano con dei pupazzetti di gomma da collezionare che si chiamavano Monster. La Ducati aveva consultato un’agenzia specializzata, si inventavano le scritte più strane, ma non c’era niente che andasse bene. Non c’è stato modo di cambiarlo. C’è stato anche chi si è inventato la storia che la moto è stata chiamata Monster perché era brutta che, ma non è assolutamente vero.

Sembrerebbe un’ottima intuizione di marketing, un oggetto del desiderio nato a tavolino...
Secondo me la Monster è una cosa che va oltre il marketing. E’ soltanto un riflesso di quello che stava succedendo nella nostra società in quel momento.
All’epoca la gente aveva bisogno di semplicità… Venivamo dagli Anni 80 in cui nei paesi industrializzati c’erano gli eccessi di tutti i tipi, soldi facili. Negli Anni 90 c’era invece il bisogno di ritornare a qualcosa di molto semplice, non però di una semplicità banale, ma qualcosa di ricco nei contenuti e molto semplice da capire. Era una mia ipotesi, ma alla fine ho scoperto che rifletteva il pensiero di tanti. Per la Ducati o per la Cagiva (in quel momento eravamo insieme) la Monster è stata la fortuna, ma se anche avesse avuto un altro nome avrebbe avuto lo stesso successo, perché la semplicità è lì dentro, si percepisce.

Il tema della semplicità sviluppato con la Monster è valido ancora oggi?
Sì, con la differenza che la semplicità di allora è diventata più sostanziosa. Oggi la semplicità è completamente differente. La nostra semplicità oggi si sta rivoluzionando, si sta evolvendo, deve essere più tecnologica, più ricca di contenuti, e lo stesso accade per lo stile. La Monster è più semplice della Raptor, che è più ricca di sottigliezze, ha linee e dettagli che sono stati anche molto criticati, ma criticati o ammirati non conta; l’importante è che qualcuno li abbia notati. Questa, secondo me, è la differenza tra gli Anni 80, gli anni ’90, oggi e quello che verrà.
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