Gigi75
18-11-2004, 00.48.15
<br /><p align="center"><img src="http://cctvimedia.clearchannel.com/wpmi/computer%20hacking.jpg" /></p><p align="justify"><font size="2"><em>Quando ho scelto il titolo di questa tesi, sono stato mosso dal desiderio profondo di sapere chi fossero gli hackers. Fin dal 1995, quando in casa è entrato il primo pc collegato in Rete, ne avevo sentito parlare. <br />Con ingenua superficialità, avevo anch'io rapidamente etichettato il fenomeno: esperti informatici che abusano delle loro capacità per commettere reati, motivati esclusivamente da un fine di lucro, dalla sola logica del denaro sottratto a chicchessia e fatto riapparire su anonimi conti correnti situati in chissà quali (molto reali e poco virtuali) paradisi fiscali. <br />Col tempo ho capito che le cose non stavano affatto in questi termini.<br />È stato sufficiente, per un attimo, distogliere l'attenzione da un certo tipo di informazione, quella sommaria, non verificata e, a volte, puramente sensazionalistica propagandata in merito dalle fonti ufficiali. <br />Non c'è dubbio che oggi, all'elevata quantità di informazioni gestita dai mass media, fa spesso, paradossalmente, da contraltare un basso livello qualitativo delle stesse, diffuse in modo incontrollato e prive dei necessari riscontri. Ma, se da un lato non appare ipotizzabile un mondo in cui ciascuno possa avere un contatto diretto con ogni evento, dall'altro non vi è motivo di negare che dalla tesi (ormai pacificamente accolta in dottrina e in giurisprudenza) secondo la quale dall'art. 21 della Costituzione discende il diritto di informarsi e di informare, debba anche necessariamente discendere il dovere, per chi gestisce l'informazione, di rappresentare la realtà in modo obiettivo e privo di condizionamenti esterni. <br />Così non è stato per gli hackers che, volutamente o meno, televisione, giornali, radio hanno rapidamente classificato come criminali informatici o "pirati informatici". <br />Seppur non del tutto infondata, tale interpretazione si è radicata nel linguaggio comune investendo di una connotazione fortemente negativa una cultura che solo marginalmente può essere ritenuta responsabile dell'evolversi e del diffondersi della criminalità legata alle nuove tecnologie. <br />È bastato, d'altra parte, rivolgersi a chi non ha creduto superficialmente alle prime cose che gli erano state dette o che aveva sentito dire, ma ha voluto davvero capire di cosa si stesse parlando. <br />Così, per conoscere la storia di una fenomeno sociale, comprenderne i valori e le ragioni della sua forza, mi sono lasciato guidare da Levy, Sterling, Himanen e da tutti quegli autori che hanno costruito le loro opere e formulato le loro riflessioni documentando fatti ed eventi realmente accaduti. </em><br /><br /></font></p><p /><p align="justify"><font size="2">Questo l'elenco dei capitoli dell'opera: </font></p><ol><b><font size="2"><li>Per comprendere l'<i>hacking</i>: storia e valori di una cultura attuale </li><li>Gli attacchi ai sistemi informatici </li><li>L'approccio normativo alla criminalità informatica </li><li>L'indagine empirica </li></font></b><p>_</p></ol><p /><hr /><p align="justify">Questo è uno stralcio dell'introduzione di una bellissima tesi dal titolo "<span style="FONT-STYLE: italic">Hacking e Criminalità Informatica</span>" di Federico Tavassi La Greca, dell'Università di Firenze, che analizza il fenomeno da dentro, prima da un punto di vista sociale ricollegandone poi le conseguenze legislative e giudiziarie. Per gli amanti del genere merita ben più di una veloce lettura rimanendo comunque ben comprensibile anche il lettore meno informato. </p><br><br><a href="../../framer.php?url=http://dex1.tsd.unifi.it/altrodir/devianza/tavassi/" target="_blank"> Leggi l'opera </a><br><br><br><br>